di Tania Dipietro
Si è aperta puntando il dito contro ogni forma di zoomafia, l’interessante conferenza sul randagismo nell’Italia meridionale organizzata lo scorso 29 Maggio dall’OIPA – Organizzazione internazionale protezione animali.
Tiziana Genovese, delegata OIPA per la provincia di Catania, ha aperto il meeting attraverso un’attenta presentazione della Legge 281/91: ovvero la prima legge “quadro” in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo che tutt’oggi, a ben 27 anni dalla sua promulgazione, non ha trovato una piena e corretta applicazione nella nostra amata regione. Gli unici soggetti che negli anni sembrerebbero aver tratto giovamento economico dall’attuazione parziale e troppo spesso errata della normativa vigente sono i gestori privati di canili e tutte quelle persone o associazioni coinvolte nello sfruttamento e commercio illecito di animali le quali attività oggi vengono meglio indicate dal termine “zoomafie”.
Ricordando l’importante vittoria ottenuta nel 1991 con il divieto di soppressione dei randagi conferiti in canile, pur considerando l’ormai risaputa inadempienza delle Istituzioni locali, l’avv. Claudia Taccani (responsabile Sportello Legale OIPA) si è ritenuta tuttavia positiva: “La legge c’è, deve però essere applicata“.
Non sono mancati spunti di riflessione sulla necessità di adattamento di una legge ormai datata alle attuali esigenze di una società senza dubbio diversa da quella degli anni ’90. E così alla mancata attuazione di quanto previsto dal legislatore si aggiungerebbe un ulteriore problema che, con quasi un trentennio di ritardo, andrebbe comunque considerato attraverso un riadattamento della stessa normativa; ovvero la necessità di prendere atto di come il cane sia sempre stato parte integrante del territorio urbano e rurale che ci circonda. Vista finalmente attraverso un’ottica di normalità, di accettazione e rispetto, la presenza del cane vagante nell’ambiente limitrofo non richiederebbe per tutti i casi una cattura forzata seguita dal conferimento in canile dell’animale, basterebbe invece la semplice accettazione del cane come componente della nostra fauna.
Questi alcuni degli input con cui Luca Spennacchio, istruttore cinofilo e studioso di zooantropologia, ha omaggiato i presenti. Il suo ultimo lavoro “Canile 3.0” è un appassionante invito per il lettore a calarsi in un’ottica di profonda meditazione ed elaborazione sui cambiamenti epocali che la cinofilia ha attraversato dal 2000 ad oggi. “Un profondo periodo di mutamento” afferma Spennacchio, che suddivide in 3 distinte fasi l’evoluzione del canile. La prima fase che precede il 1991 e la legge quadro, vedeva l’istituzione del canile per fini di prevenzione sanitaria (nello specifico lo scopo era isolare gli animali affetti dal virus della rabbia), un luogo provvisorio di transito in attesa di inevitabile soppressione.
Diverso è invece lo sviluppo successivo che tale struttura compie negli anni 2000 quando, in seguito all’abolizione dell’eutanasia animale, diviene usanza comune accalappiare e togliere dalla strada quanti più cani possibili. Il randagio assume purtroppo un valore economico per i gestori di canili che hanno tutto l’interesse a far lievitare il numero di animali ricoverati in vista di convenzioni con i Comuni che si fanno carico del loro mantenimento.
Ma la terza fase alla quale si riferisce il titolo del libro di Luca Spennacchio è senza dubbio la più preoccupante perché tiene conto dei debiti accumulati dalle amministrazioni con i canili, del periodo storico di crisi generale in cui versa l’intera nazione e del fallimento nel controllo delle nascite canine frutto di abbandoni. Ebbene il nostro esperto cinofilo ci invita a riflettere sulle possibili soluzioni che nei prossimi anni potrebbero essere adottate, considerando anche la triste possibilità di un’involuzione legislativa che potrebbe condurre nuovamente alla soppressione degli animali in esubero nelle strutture.
Tra gli ospiti intervenuti David Morettini, anch’egli istruttore cinofilo che ha spiegato ai volontari e animalisti presenti le gravi difficoltà di adattamento che vengono riscontrate nei cani che dal Sud vengono mandati nelle strutture del Nord Italia per trovare adozione: si tratta spesso di cani che non andavano prelevati da un habitat semi selvatico o semplicemente da un contesto di vita libera sul territorio urbano al quale erano abituati, la conseguenza di tale errore la pagherà l’animale che non sarà in grado di adattarsi alla vita in città e conserverà dunque un basso indice di adottabilità.
Infine l’atteso intervento di Michele Minunno, istruttore esperto in dinamiche dei branchi randagi e selvatici, che con parole semplici e l’ausilio di genuine immagini e video ha affascinato l’intera sala mostrando ai presenti come è possibile scorgere in alcuni atteggiamenti del cane (per noi incomprensibili) un complesso mondo di comunicazione ed interazione con i suoi simili. “Bisogna cominciare a vedere le esigenze degli animali in un’ottica diversa, senza traslare la loro dimensione altrove o trasferire su loro la nostra sofferenza. Non si può eliminare il problema del randagismo togliendo il cane dal suo Habitat.”
Al termine di questo incontro appare chiaro un concetto sacrosanto: l’atto di volontariato consiste nel chiedersi cosa è meglio per il cane, nel rispetto dell’etologia animale ed evitando di attirare sulla bestiola pericolose attenzioni. La vera civiltà sembra dunque essere la convivenza.